In che modo il bambino inizia a parlare?
L’ipotesi
attuale sullo sviluppo del linguaggio è che sia conseguenza diretta
sia della maturazione di attitudini congenite, sia dell’imitazione
degli esempi offerti dal contesto di vita nel quale è immerso il
bambino. Né la maturazione né l’imitazione, infatti, presi
singolarmente sono in grado di spiegare la comparsa del linguaggio: la
componente genetica è necessaria ma non sufficiente e richiede un
sistema di mediazione offerto dagli adulti e dall’ambiente sociale per
essere personalizzata e ampliata rispetto alle componenti specifiche di
ogni lingua.
IL
LINGUAGGIO SAREBBE DUNQUE IL FRUTTO DI UN’INTERAZIONE INTERPERSONALE
TRA IL BAMBINO, CHE GIOCA UN RUOLO ATTIVO DA SUBITO PER LA COMPETENZA
INNATA, E L’ADULTO, MEDIATORE RISPETTO L’AMBIENTE E "SVILUPPATORE” DI
TALE COMPONENTE
Ci
sono i bambini di poche parole. Parlano di rado e male, a volte li
capisce soltanto la mamma. E sono tantissimi. Secondo le ultime stime,
presentate a Firenze nel corso del congresso nazionale della
Federazione Italiana Logopedisti, nel 10% dei piccoli in età prescolare
e nel 5-6 % dei bimbi che già vanno a scuola c’è un ritardo o un
disturbo del linguaggio, si stima che siano oltre 570mila bambini
italiani.
COME
RICONOSCERE UN DISTURBO DEL LINGUAGGIO
Il primo passo per intervenire e scongiurare le conseguenze negative di
un ritardo del linguaggio, che oltre a compromettere l’apprendimento
può avere un impatto negativo sullo sviluppo emotivo e il comportamento
del bimbo, è riconoscere se qualcosa non va. «Per farlo bisogna
valutare il vocabolario fra i 12 e i 18 mesi: il piccolo dovrebbe
essere in grado di dire almeno cento parole,
questo basta a farci capire che svilupperà un lessico più complesso in
seguito – spiega Tiziana Rossetto, presidente FLI –. Soprattutto,
occorre capire se il bimbo ha l’intenzione di comunicare: ci segue con
lo sguardo? Anticipa le richieste con i gesti?Sorride, è espressivo?
Si
tratta di indicazioni che si possono avere osservando il figlio già
durante l’allattamento, quando mamma e bambino guardandosi e
interagendo stabiliscono il “turno della comunicazione”. Se tutto
questo c’è, non bisogna preoccuparsi: il bagaglio di parole crescerà,
ma non ci sono i segni per temere un serio disturbo dello sviluppo».
L’assenza di comunicatività infatti può essere il segnale di un ritardo
del linguaggio specifico o anche secondario ad altri problemi, ad
esempio un disturbo dello spettro autistico.
Quando emergono i primi dubbi o campanelli d’allarme
è sempre consigliabile rivolgersi a uno specialista. In basso potete
scaricare un'utile INFOGRAFICA per capire quali sono le tappe di
sviluppo tipico del linguaggio e della comunicazione.
Per approfondire visitare la pagina sulla logopedia.
Consuelo
Bruni
Logopedista
Il primo passo per intervenire e scongiurare le conseguenze negative di un ritardo del linguaggio, che oltre a compromettere l’apprendimento può avere un impatto negativo sullo sviluppo emotivo e il comportamento del bimbo, è riconoscere se qualcosa non va. «Per farlo bisogna valutare il vocabolario fra i 12 e i 18 mesi: il piccolo dovrebbe essere in grado di dire almeno cento parole, questo basta a farci capire che svilupperà un lessico più complesso in seguito – spiega Tiziana Rossetto, presidente FLI –. Soprattutto, occorre capire se il bimbo ha l’intenzione di comunicare: ci segue con lo sguardo? Anticipa le richieste con i gesti?Sorride, è espressivo?
Quando emergono i primi dubbi o campanelli d’allarme è sempre consigliabile rivolgersi a uno specialista. In basso potete scaricare un'utile INFOGRAFICA per capire quali sono le tappe di sviluppo tipico del linguaggio e della comunicazione.
Logopedista